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di Mattia Temponi
Sono nato nel 1984, pochi mesi prima della morte di Enrico Berlinguer, segretario del Partito Comunista Italiano. Non ho alcuna memoria di lui, né di un mondo antecedente al crollo del Muro di Berlino. Sono figlio degli anni Novanta, dell’Italia berlusconiana, ma cresciuto in una famiglia tradizionalmente di sinistra.

I miei genitori e parenti parlavano a volte di Berlinguer con un’emozione che mi sembrava difficile da comprendere. Faticavo a spiegarmi quel trasporto per un politico, abituato com’ero a una scena pubblica popolata da figure di plastica, rigurgitate dalle televisioni del “Biscione”. Berlinguer era, per chi aveva vissuto quella stagione, una sorta di favola della buonanotte: un momento straordinario in cui il mondo immaginato sembrava a un passo dal realizzarsi, un istante quasi perfetto, portato via con una brutalità ingiusta. Razionalmente capivo quella malinconia, ma non con il cuore: quell’esperienza non mi apparteneva. Il film di Emanuele Rossi, Prima della fine, cambia tutto. Innanzitutto perché è un documentario che decide di cristallizzare un momento della vita di Berlinguer, la sua fine, espandendolo e trasformandolo in un crescendo narrativo che, per un attimo, ci fa dimenticare l’epilogo che conosciamo già. Evita ogni operazione nostalgica e si sottrae al cliché degli autori che si avvicinano alle figure storiche della loro giovinezza per santificarle, privandole di quell’umanità fallibile che le ha rese così vicine alle persone.

C’è poi l’uso sapiente del materiale d’archivio, in gran parte inedito, che rende la visione del film un’esperienza immersiva, quasi ai confini della realtà virtuale. Ed è forse proprio qui il grande valore di questo documentario, giustamente apprezzato: la capacità di modernizzare una vicenda che altrimenti rischierebbe di perdersi nella distanza temporale. La ricostruzione quasi millimetrica degli ultimi giorni di Berlinguer diventa così un fenomeno attuale, non tanto nei contenuti, quanto nel linguaggio narrativo che Rossi adotta e padroneggia. Un lavoro che è insieme artistico e politico, nel senso più alto del termine, perché offre un servizio di pubblica utilità: un viaggio in quella Storia rimpianta da alcuni, ma mai vissuta da altri.

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