Di Sergio Scamuzzi
Il quarto e ultimo seminario del ciclo Culture politiche ha analizzato in una prospettiva prima storica e poi giuridica la coesistenza all’interno dell’Unione Europea di società e Stati profondamente differenti, portatori di esperienze e “modernità” novecentesche ben distinte. Si è indagato, quindi, le contraddizioni e gli ostacoli che l’UE deve affrontare per ritrovare un percorso di sviluppo unitario e rispettoso dei valori umani e degli ideali fondativi dell’Unione.
Per Andrea Graziosi – docente di Storia contemporanea all’Università di Napoli – la società europea ha subito un cambiamento radicale negli ultimi venti anni; un cambiamento tanto più visibile nei paesi membri UE, con importanti conseguenze politiche. Si è usciti definitivamente dal Novecento e dalle sue “faglie” – tra città e campagne, tra operai e padroni, tra cattolici e laici – per ritrovarsi immersi in nuove profonde linee di frattura sociale e di conflitto politico: tra strati sociali e territori favoriti e sfavoriti dalla globalizzazione, tra generazioni e divari di genere.
Su queste nuove spaccature è cresciuta e continua a crescere l’estrema destra, la quale propone un messaggio reazionario di massa, una proposta di ritorno a un mondo scomparso che viene idealmente rintracciato nelle origini remote e mitizzate dei nazionalismi: sovranismo come antitesi alla globalizzazione, nazione come organismo etnicamente omogeneo, società patriarcale.
È in tal senso che – è la conclusione di Andrea Graziosi – l’Unione Europea può cogliere l’impegno morale e storico di costruire un soggetto non paragonabile a uno Stato nazione, capace di valorizzare l’eterogeneità dei suoi membri, di plasmare istituzioni flessibili in grado di fronteggiare le difficili relazioni internazionali odierne.
Guido Crainz – già docente di Storia contemporanea all’Università di Macerata – nel suo intervento ha evidenziato le contraddizioni e i pericoli che attraversano l’UE. L’ormai strutturale propensione verso una democrazia illiberale di paesi membri come l’Ungheria e la Polonia – che si traduce in una dipendenza della magistratura verso il potere esecutivo, nel consenso plebiscitario dell’uomo forte al potere, nel nazionalismo sovranista, e altri tratti – e la crescita di una destra radicale e neonazista nelle regioni dell’ex Germania Est ne sono esempi emblematici.
Sono casi distinti, individuabili e interpretabili alla luce delle peculiarità storiche e nazionali, ma in cui è possibile ravvisare un tratto comune: trovano le loro origini a seguito della caduta del muro di Berlino, in una “occidentalizzazione” forzata e mercantilista di società che hanno vissuto il Novecento in “tempi” e “forme” differenti, profondamente lontani sia dal modello sociale fondativo dell’UE che da quello proposto in tempi più recenti ai paesi che uscivano dall’esperienza del socialismo sovietico.
Anche la cessione parziale di sovranità all’Unione – che alla sua fondazione, all’indomani della Seconda guerra mondiale, trovò legittimazione nella prevenzione di ogni futura guerra tra gli Stati europei – agli occhi di questi stati orientali appare, dopo il 1989, come una lesione della loro indipendenza da poco riconquistata. Questo processo di inclusione è avvenuto spesso senza gli adeguati presupposti e tempistiche, senza un reale processo di accettazione reciproca e collaborazione.
Mia Caielli – professoressa di Diritto pubblico comparato all’Università degli Studi di Torino – si è soffermata nel fornire un quadro giuridico delle strutture dell’Unione Europea, in particolare sugli strumenti di autodifesa che i trattati offrono per tutelare i principi e sanare le possibili contraddizioni interne nella dialettica tra gli Stati membri.
Il trattato sull’Unione Europea (TUE) entrato in vigore nel 2009 prevede, all’art. 7, un meccanismo per sospendere dall’appartenenza alla UE gli Stati che non rispettino i valori della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello stato di diritto e del rispetto della dignità umana e di tutti quei diritti umani che – in base all’art. 3 dello stesso trattato TUE – definiscono il modello europeo di democrazia liberale.
Inoltre, l’art. 228 del Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE) prevede la possibilità per la Corte di Giustizia di sanzionare con multe gli Stati membri che violino gli obblighi dell’appartenenza all’UE. Tuttavia, un motivo di debolezza di tali strumenti può essere rinvenuto nelle procedure complesse e nella matrice mercatistica delle libertà protette dal diritto comunitario e dall’originaria funzione dell’UE: un’organizzazione sovranazionale volta essenzialmente alla creazione di un mercato comune. In particolare, la conclusione della procedura di sospensione, già avviata nei confronti di due Stati, Ungheria e Polonia, pare assai difficile dal momento che è richiesto il voto unanime dei paesi membri, escluso quello dello Stato imputato.
Infine, il Regolamento UE 2020/2092 ha introdotto un regime di condizionalità nella gestione dei fondi europei per rafforzare la tutela dello stato di diritto nell’Unione. E in forza di tale normativa è stata decisa la sospensione dell’erogazione di fonti destinati all’Ungheria. Ma occorre tenere a mente che tale meccanismo di condizionalità è stato pensato per proteggere il bilancio dell’UE e non lo stato di diritto in sé.
Anche dopo le elezioni del prossimo Parlamento europeo si dovrà porre, quindi, il tema del “superamento” del principio di unanimità in ragione del sempre crescente numero di Stati UE che portano avanti politiche lesive nei confronti dei principi democratici e dello stato di diritto.
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